Case della comunità

Case della comunità. Un’occasione che non possiamo sprecare

Un appuntamento quello del 29 novembre alla Biblioteca di Seriate per fare il punto della situazione sulle Case della Comunità che rappresentano un nuovo strumento del Servizio Sanitario Nazionale da collocare in modo appropriato nel sistema delle cure territoriali e che, grazie ai finanziamenti del PNRR, si svilupperà diffusamente. Questo il tema del convegno organizzato da CISL Bergamo e FNP Bergamo. Al tavolo dei lavori (anticipati dal saluto di Cristian Vezzoli sindaco di Seriate e di Lucia Cometti della Fnp di Seriate), c’erano Giacomo Meloni (Segretario Generale Fnp Cisl Bergamo), Antonio Porretta (CSV di Bergamo), Francesco Locati (DG ASST Bergamo Est), Massimo Giupponi (DG ATS Bergamo), Gabriele Cortesi (Presidente Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci – ASST Bergamo Est). Le conclusione sono state affidate a Mario Gatti che richiamando la visione della Cisl di Bergamo (presente in sala il segretario generale Francesco Corna) ha delineato il pensiero del sindacato di via Carnovali su una riforma sanitaria ancora al di là dal ritenersi operativa. (Il comunicato stampa)


Ecco l’intervento integrale di Giacomo Meloni

Buongiorno, ben trovate e bentrovati a tutti.
Grazie dell’invito , grazie della vostra partecipazione e della presenza dei nostri autorevoli invitati che ci aiuteranno e supporteranno nella lettura e nella risposta alla domanda di fondo di questo incontro:

Case della comunità; i cittadini si interrogano su cosa sono e quali servizi offriranno.

Grazie naturalmente a Lucia Cometti per aver creduto e voluto questa importante iniziativa di analisi e confronto su un aspetto centrale contenuto nella nuova legge regionale approvata ad inizio dell’anno in corso ; le Case di Comunità.

E inoltre, mi scuso in anticipo per eventuali errori di comunicazione, sintesi e /o omissioni, nel corso di questa mia introduzione.

Parlare, ragionare e soprattutto, nei momenti di bisogno, fruire del servizio sanitario spesso risulta un impresa, soprattutto per quanto concerne i tempi e le liste di attesa per visite diagnostiche, specialistiche.

In una regione e provincia dove spesso la medicina è all’avanguardia, specialmente quella ospedaliera, pare anacronistico che se non si hanno a disposizione adeguate risorse economiche, curarsi sia un impresa.

Si va purtroppo sempre più affermando in Lombardia, il principio che senza la carta di credito curarsi adeguatamente e in tempi adeguati, con il servizio sanitario nazionale , sia pressoché impossibile.

Servizio Sanitario Nazionale che noi riteniamo una pietra miliare e uno dei pochi modelli di cui il nostro paese può e deve continuare ad essere orgoglioso.

Servizio sanitario nazionale istituito con la legge 833del 1978, fortemente voluta da Tina Anselmi, i cui principi sono l’universalità, l’uguaglianza, e l’equità; tutti aspetti purtroppo, oggi e da tempo messi fortemente in discussione.

La salvaguardia dei principi contenuti nella legge 833, sono per noi una priorità dalla quale non siamo e non saremo mai disponibili a rinunciare.

Anche se purtroppo dai tempi del Governo Monti in poi abbiamo assistito e subito continue riduzioni di finanziamenti per la Sanità pubblica e riduzione di posti letto, nei reparti che accolgono i grandi anziani.

Negli ultimi dieci anni sono stati tagliati 37 MLD e 100.000 posti letto, risultato di una gestione che più dissennata non si può.

L’altro elemento di priorità d’intervento che chiediamo a Regione Lombardia, AST e ASST, sono la riduzione certa e tangibile dei tempi d’attesa, la persona malata ha bisogno di risposte, competenti veloci, certe, e non può essere costretta a rivolgersi al privato o privato convenzionato per averle.

O meglio, può esserlo come scelta libera e consapevole, non come unica estrema necessità, per potersi curare.

Su questo aspetto ci permettiamo di fornire una suggestione; è possibile prevedere per le persone anziane, fragili, over 65/70 liste prioritarie per gli appuntamenti di visite specialistiche e diagnostiche.

Veniamo tutti dalla drammatica esperienza del Covid vissuta nel 2020, soprattutto da noi a Bergamo e in provincia nella prima fase abbiamo vissuto drammi umani e personali che ci hanno segnato per sempre e in profondità.

Scorreranno per sempre nella nostra mente e nei nostri cuori il dramma vissuto da migliaia di persone” scomparse” senza un ultimo abbraccio un ultimo bacio, quasi volatilizzate; e la catastrofe umana vissuta nel 2020 poteva essere ancora più drammatica senza il sacrificio professionale e personale di tanti medici ( alcuni hanno anche perso la vita ) di tanti paramedici infermieri, addetti delle ambulanze, volontari ai quali va ancora oggi il nostro plauso e immensa gratitudine.

Ma proprio in quella fase drammatica, superata o attenuata poi dall’inizio del 2021 con l’utilizzo massiccio dei vaccini, è emerso tutto il limite della Legge regionale 23 del 2015 voluta dall’allora presidente di R.L. Maroni, non tanto verso il settore ospedaliero, mediamente di qualità con alcune eccellenze nazionali e internazionali, presenti anche sul nostro territorio, ma soprattutto i forti limiti della medicina territoriale di prossimità, per cui , carenza o limiti dei medici di medicina generale, costringono la persona a rivolgersi , intasando i pronto soccorso, come sta di nuovo avvenendo ora e spesso di conseguenza gli ospedali, anche per interventi non di estrema gravità, che appunto possono essere affrontati dai medici di medicina generale o di continuità assistenziale (guardia medica ).

Inizia così, anche su forte spinta della società civile, delle OO.SS e della politica regionale, la riflessione prima e l’adozione poi di un nuovo strumento o dell’adeguamento per meglio dire della precedente Legge reginale del 2015, che contiene al suo interno, almeno da parte della maggioranza che approva la nuova normativa regionale, gli strumenti adatti a modernizzare ed efficientare la Sanità lombarda e la medicina territoriale.

La nuova normativa, articolata e complessa, che le OO.SS, Cisl, Cgil, Uil della Lombardia non sottoscrivono, contrariamente a quanto avvenuto nel 2015, istituisce, i distretti sanitari, con compiti di programmazione e comprendono una popolazione di norma non inferiore a 100.000 abitanti ,i COT ( centri operativi territoriali) 12 a Bergamo e provincia, gli Ospedali di Comunità, 9 a Bergamo e provincia, le Case di Comunità, 20 sempre a Bergamo e provincia.

A Seriate è prevista una casa di comunità e un centro operativo territoriale, che devono entrare in attività , sinora in bergamasca sono operative tre case di comunità.

Sorvoliamo per ragioni di tempo il ruolo dei distretti, COT e ospedali di comunità e vediamo, le opportunità e i limiti , che a nostro parere contengono le case di comunità, che restano, va detto una intuizione condivisibile.

La casa di comunità, dice la normativa, rappresenta il modello organizzativo che renda concreta l’assistenza di prossimità, con attenzione alla prevenzione, e all’offerta di servizi socio sanitari, l’assistenza verrà erogata, a domicilio, ambulatorialmente, tramite la telemedicina; possono essere presenti altri servizi, ad esempio , salute mentale, dipendenze, cure palliative, medicina dello sport, screening, vaccinazioni.

Saranno attivi l’area di accesso a dei servizi amministrativi; informazioni e orientamento sui servizi e gli interventi, assistenze farmaceutiche, fornitura protesica, servizi CUP, scelta e revoca.

Area assistenza primaria, Medici di medicina generale, medici di continuità assistenziale, infermiere di comunità, personale amministrativo di supporto.

In ultimo, sempre molto sinteticamente, la casa di Comunità, è la sede di collaborazione con la comunità locale, volontariato, terzo settore e reti sociali. Agiscono in integrazione con l’ambito sociale di riferimento, sono Hub, punto di riferimento ogni 40/50.000 abitanti; dovrebbero avere un modello organizzativo e del personale composto da medici di medicina generale, con apertura dell’ambulatorio sei giorni su sette, medico di continuità assistenziale, notturno e festivi h 24 sette giorni su sette, infermieri di famiglia , personale amministrativo e socio sanitario, un assistente sociale.

Su questi aspetti e mi avvio a concludere la mia introduzione, rileviamo due elementi di forte criticità fra gli altri:

  • La definizione di 40/450.000 abitanti per ogni casa di comunità, è un dato statistico e non tiene conto delle specifiche realtà territoriali, basti pensare agli abitanti delle valli bergamasche.
  • Ad oggi , pur volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, ci lascia perplessi la possibilità di avere all’interno delle case di comunità, tutti i sevizi medici e infermieristici previsti dal piano regionale, perché sia gli uni che gli altri sono carenti, in linea generale e in particolare a Bergamo e provincia, dove malgrado il prossimo inserimento di 46 nuovi medici di base, rimane una carenza significativa, di 79 medici di medicina generale ad ora, come pure la disponibilità di infermieri e medici specialistici, con il rischio, di lasciare scoperta la presenza di professionisti presso la nuova struttura, come purtroppo sta avvenendo nelle case di comunità già avviate, oppure fare riferimento , come sta avvenendo in alcuni casi a medici stranieri, assunti e retribuiti a prestazione, nell’un caso come nell’altro con forti preoccupazioni di professionalità, competenze, preparazione specifica e costi economici.

Certo quello della carenza dei medici di base non è un tema di soluzione facile e immediata ma che è reale e tangibile per le persone e che dove vedere al più presto anche un intervento legislativo che porti a superare l’attuale normativa che prevede il numero chiuso per l’ingresso agli studi universitari di medicina.

Parafrasando una vecchia battuta, L’Italia è fatta adesso facciamo gli italiani. Le case di comunità ci sono, facciamo in modo che non siano solo o prevalentemente interventi di ristrutturazione di immobili, ma vedano al loro interno operativi, professionali ed efficienti tutti i servizi sanitari e non solo che la normativa regionale prevede, è una occasione che non possiamo sprecare, lo si deve a tutte le persone che ogni mese versano allo Stato e alla Regione parte della loro pensione o del loro stipendio al fisco, anche per avere una sanità pubblica, universale, uguale ed equa per tutti.

Grazie


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